Quale riforma

La proposta Pacciardi

Per quanto la segreteria del partito avesse indicato un responsabile al tavolo della riforma costituzionale della maggioranza di Centrodestra nel 2003, autorizzandolo a sostenere il percorso compiuto con gli altri alleati, il ministro repubblicano al governo si astenne sul complesso della Riforma costituzionale e la direzione nazionale del partito si pronunziò per la libertà di coscienza al referendum. Ovviamente furono molti i repubblicani contrari allo spirito della Riforma Calderoli- Berlusconi, nonostante fosse evidente che le continue modifiche alla Costituzione del 1948, iniziate fin dal 1993 , richiedessero un qualche aggiornamento, soprattutto dopo gli interventi del governo Amato sul titolo V avvenuti alla fine della legislatura precedente. Di fatto, il centrodestra voleva riordinare l’intera materia, introducendo il principio prioritario di salvaguardia dell’Unità nazionale e lo faceva con un ministro leghista. Quanto all’abolizione del Senato, che sarebbe stato eletto su base regionale, in progetto era comune allo stesso ulivo prodiano, che il Pri aveva condiviso otto anni prima. Nonostante la rigida contrapposizione imposta dal sistema elettorale maggioritario, si vide come sinistra e destra avessero convinzioni comuni, sia sull’abolizione del bicameralismo perfetto, sia sui finanziamenti alle scuole private, sia soprattutto, sul far transitare le “norme transitorie e finali” della Costituzione, che in quanto transitorie non dovrebbero transitare, ma fungere da sostrato a tutto il percorso repubblicano. Per cui la posizione del Pri in entrambe le coalizioni dal 96 al 2005, fu molto delicata, legati come eravamo ad una Costituzione che aveva già smesso di vivere nel 1993, ovvero quando la magistratura divenne un potere come un altro dello Stato e tale da mettere in questione l’autentico depositario del potere nell’ordinamento repubblicano, quale era appunto il Parlamento. Inutilmente nel corso della legislatura di centrodestra il Pri cercò di convincere gli alleati a ripristinare l’articolo ’68 della Costituzione nel suo testo originale. La lega che nel ‘92 aveva sventolato il cappio in aula era contraria, ed ora, paradossi della storia, ha un segretario che accusa la magistratura di ogni nefandezza. Morale, il centrodestra si mise a imbastire provvedimenti inutili e deleteri come la Legge Cirielli ed il lodo Alfano, incapaci di affrontare il problema alla radice. Nello stesso tempo avemmo la conferma che lo spirito del ’47 non sarebbe mai tornato, in quanto la riforma sarebbe andata avanti a colpi di maggioranza. Sotto questo profilo dei precedenti Renzi, ha poche responsabilità. Il suo governo ha ereditato una situazione logorata, con margini stretti per porvi un rimedio. Va detto che gli errori già compiuti, per certi versi, questo governo li ha anche aggravati. L’elezione indiretta del Senato non sappiamo come sia venuta in mente e a chi, ma davvero non ha precedenti nella sua insensatezza. Più che una minaccia alla democrazia, la riforma riduce ulteriormente gli spazi di rappresentatività democratica, ma anche questa è una procedura avviata e condivisa, già con il sistema maggioritario. Eppure dire semplicemente “no” alla riforma Boschi, non basta, perché comunque, quale che sia, la prossima maggioranza dovrà rimettere a punto tutti gli aspetti che sono ancora controversi nell’ambito delle istituzioni democratiche, a cominciare dal ruolo del Capo dello Stato. Se il popolo vota già la maggioranza e il premier nell’urna, le funzioni del Quirinale ne escono dimezzate. E comunque la Costituzione deve essere aggiornata su un elemento della vita politica che si riproduce dal 1994 e che pure non è contemplato dalla Carta, per la semplice ragione che la nostra vecchia costituzione prevede un sistema elettorale proporzionale purissimo. Per questo abbiamo sperato che senza un’intesa sulla legge elettorale, si potesse tornare al proporzionale puro raccomandato dalla Corte costituzionale e a quel punto, si sarebbe potuto difendere almeno la parte fondamentale della vecchia costituzione. Ma se tutti, tranne noi, sono rimasti convinti della necessità di un sistema elettorale maggioritario, ecco che la Costituzione decade di per se. Bisogna farsene una ragione, siamo di fronte alla sconfitta del proporzionalismo repubblicano, il quale però non era così sprovveduto da non possedere una proposta di riserva. Questa proposta porta il nome di Randolfo Pacciardi, che vide lucidamente, fin dagli inizia degli anni sessanta, i rischi della degenerazione partitocratica, e il pantano istituzionale in cui ci stavamo inabissando. La sua idea era quella nordamericana, Presidenzialismo e controllo parlamentare del governo eletto. Se ci pensiamo, questa è l’unica carta che ci resta da giocare. Ma se diciamo semplicemente “no” alla riforma Renzi, insieme a tutti coloro che finora hanno manomesso ininterrottamente e senza batter ciglio. la vecchia Costituzione, sprecheremo anche quella.

Roma, 15 marzo 2016